L’ANORESSIA DEL MASCHIO
foto di Annette Schreyer
“Dimagrivo e mi sentivo potente”. “Tiravo la giornata con un cucchiaio di minestra”. Non è più soltanto un problema da donne: oggi i ragazzi che soffrono di gravi disturbi alimentari sono in aumento. Come Luca, Antonio e Matteo, che raccontano il loro tremendo mal di cibo
Appaiono solo nelle cronache di un giorno i giovani scarnificati dall’anoressia che si gettano da finestre di ospedali. Tragedie che svelano un dato recente e ancora da indagare: il mal di cibo non è più affare da donne. Tra ex bambini obesi che si mettono a dieta e perdono il controllo, adolescenti ossessionati dalla forma fisica, giovani che inscenano a tavola l’ansia di crescere, oggi un decimo della popolazione che soffre di disturbi alimentari è maschio.
«Dieci anni fa era l’un per cento» constata la psichiatra Laura Dalla Ragione, responsabile a Todi di un centro pubblico pilota dove il sapore della vita si riaccende in una villa antica, con terapie di gruppo e pasti rituali, lontano da corsie d’ospedale.
La dottoressa, che ha seguito finora 80 ragazzi, ha appena pubblicato uno dei rari studi sul tema (firmato con Marta Scoppetta): Giganti d’argilla (Il Pensiero scientifico Editore). Dove spiega che «nella fascia 14-17 anni, i maschi arrivano al 20 per cento, e se consideriamo solo il binge eating, l’abbuffata compulsiva cui non segue il vomito come nella bulimia, gli uomini sono addirittura un terzo e hanno fra 30 e 40 anni».
L’anoressia maschile compare nei testi medici quattro secoli fa, cade nell’oblio e riappare nel 1996, quando in un congresso americano si parla di reverse anorexia: la distorta ricerca di un corpo muscoloso, ottenuto con rischiose diete fai-da-te e tanta, troppa palestra. Chiodo fisso da uomini, speculare al desiderio di invisibilità delle donne anoressiche.
Osservando i maschi malati, lo psichiatra Eugenio Borgna parla di narcisismo come «impossibilità di amare se stessi e gli altri», nel libro Narciso a tavola (a cura di L.E. Zappa, Franco Angeli). E Laura Dalla Ragione ipotizza perché tra gli uomini il disturbo è in crescita: «Oggi la donna ricerca ideali di efficienza vicini a quelli maschili. È come se gli uomini si sentissero minacciati e confusi, cercando di affermare la propria virilità. Ed ecco l’attività fisica esasperata e le diete spesso fornite senza criterio dagli allenatori: proteine, niente carboidrati, anabolizzanti e steroidi. La prestanza fisica è un valore socialmente accettato» prosegue «è difficile capire quando sfocia in un desiderio patologico». Così i maschi anoressici e bulimici arrivano alla diagnosi più tardi, rispetto alle donne, rendendo il loro male più subdolo e grave.
Di loro non si parla, e loro non parlano per l’imbarazzo di soffrire di una malattia femminile. Come è accaduto a Luca, Antonio, Matteo.
LUCA, 15 ANNI
Ho segnato la data: primo ottobre 2006. Il Luca di un metro e 69 per 72 chili decideva di dimagrire. I compagni mi chiamavano ciccione. Soffrivo. Piangevo. E ho fatto di testa mia: pomodori sconditi, poca acqua per non gonfiarmi, semolino con olio e formaggio e poi senza niente, nemmeno sale.
Ogni giorno correvo per 12 chilometri, con la pioggia e al buio, io che avevo così paura del buio. La fame era da sbattere la testa al muro, ma il corpo si abituava: dimagrivo, ero potente. Fino agli svenimenti e alla faccia bianca e spettrale. Ma fermarmi era impossibile, come se un burattinaio mi comandasse.
In due mesi ho perso 22 chili. Non so dire se fossi scheletrico: io non mi vedevo. Poi il rischio di collasso, le flebo, il sangue che si coagulava per mancanza di liquidi, lo sviluppo bloccato… Uscito dall’ospedale dovevo correre. E sono svenuto.
Al centro di Todi sono arrivato il 23 dicembre: il primo piatto di pasta è stato eterno, sminuzzavo tutto, non volevo tornare il Luca ciccione. Poi dev’essere scattato qualcosa perché allo specchio mi sono detto: “Eppure hai un bel fisico”. E mangiavo più svelto, dal primo alla frutta.
Ora va meglio: peso 59 chili e sono cinque centimetri più alto. Torno al centro regolarmente: ho superato i problemi con il cibo, ma non certe fissazioni. I capelli, per esempio: non esco se non sono scolpiti con il gel come dico io. Ho indossato il berretto per una settimana, persino in casa, perché non mi piacevo. A chi mi dice che sono carino non smetto di chiedere “lo pensi sul serio?”. Forse se tingessi i capelli e mettessi lenti a contatto azzurre…
Non ho ideali di bellezza, vorrei solo essere come certi miei coetanei. Nel mio paese si dà importanza all’aspetto: so che conta quello che hai dentro, però sono i belli ad avere successo e ragazze. Io ne ho avuta una sola, per poco: ero curioso del primo bacio. Sai, in me vive ancora una parte malata, ma è piccolissima. Il resto è il Luca vero.
ANTONIO, 24 ANNI
Ho un’anoressia nervosa secondaria, effetto di una depressione. Cinque anni fa ho lasciato il Sud per una borsa di studio: ero il primo, in famiglia, ad andare all’università. E la solitudine in quel luogo ostile ha liberato i miei fantasmi: l’angoscia di pesare sui miei, la paura di crescere. E il mio antico problema, l’alopecia: da piccolo ho perso i capelli e i peli, non ricresceranno. Dicono che somigli a Bruce Willis, ma io fatico ad accettare la mia immagine.
Ero inappetente, tiravo la giornata con un cucchiaio di minestra, non prendevo il bus per risparmiare macinando chilometri a piedi. Ero refrattario a tutto, anche ai 30 e lode. Con i miei, fingevo serenità. Dopo otto mesi ero 49 chili: ne avevo persi più di 20 e mi facevo schifo, le gambe secche come stampelle. Morivo di un suicidio lento. Quando ti accorgi di essere anoressico è già tardi, ci sei dentro con tutto te stesso.
Sono tornato a casa, al Sud: medici, day hospital, psicoterapie, mentre i miei mi controllavano convinti che nutrissi solo un vacuo desiderio di magrezza. Ho ripreso chili e mi sono laureato con lode. Ma il cibo restava un nemico, e la difficoltà di trovare lavoro ha aggravato la mia sfiducia.
Stavo di nuovo male ed ero stanco di stare male. Sono entrato nel centro di Todi dicendomi “o guarisci o sei un niente”. E ho ritrovato almeno il gusto per le piccole cose: un giorno mi si è riempito il cuore al cospetto di un albero secolare. Qualcosa cambiava.
Oggi vivo al Nord e frequento un master. L’angoscia bussa a giorni alterni, però provo meraviglia per la bellezza delle cose. Sono 63 chili, credo. Evito bilance e specchi.
MATTEO, 30 ANNI
È la mia ossessione da quando avevo 21 anni. Ero confuso, immaturo. L’università era un automatismo, vengo da una famiglia di insegnanti. La palestra era una cosa nuova, e lì si parlava solo di cibo, peso, corpo. Discorsi che si sono insinuati in me.
Ho eliminato i grassi dai pasti, poi i carboidrati, mangiavo solo frutta e verdura e poca carne, ritrovandomi con 600 calorie e due ore di palestra ogni giorno. In pochi mesi ero 56 chili, e io supero il metro e 80. Lo specchio rifletteva un’immagine normale, i miei occhi erano malati.
L’ho capito più tardi: era una strategia di fuga. A casa mia non c’è amore, solo rabbia tra i miei genitori e con i miei nonni, e io volevo essere altrove. Avevo paura del dolore e mi sono creato un dolore solo mio, una nicchia di non-vita su cui m’illudevo di avere potere, mentre la vita vera sfuggiva al mio controllo.
Ospedali, psicoterapie, un cuore indebolito. Seguivo le cure ma a casa mi accoglieva il mio mondo artificiale fatto di anoressia e poi di bulimia: ricompravo il cibo ingurgitato e vomitato, i miei non sospettavano. Se uscivo a cena con gli amici, di notte andavo a correre. Ero un abile bugiardo senza dignità, come un drogato ipnotizzato dalla dose: era la malattia a guidare la mia vita. E se vedevo una ragazza bellissima con un panino in mano, io fissavo il panino.
Temevo di essere omosessuale finché ho incontrato Ilaria, che mi ha fatto desiderare di guarire. Sono stato quattro mesi nel centro di Todi. Lasciandomi andare ho capito tante cose. Il rapporto con la mia mamma, che dà senso alla sua vita accudendo me, e se mai guarirò sarà lei ad ammalarsi. Uscito da Todi stavo meglio, ma nove anni di ossessione non li cancelli: ho rifatto tutto, i digiuni e le abbuffate, il vomito e le corse per bruciare calorie. Cercavo compromessi ma non ce ne sono: all’ossessione basta uno spiraglio per tornare e riempirti.
Peso 67 chili, faccio l’istruttore di nuoto e da anni rimando la tesi di laurea. Vorrei staccarmi dai miei e vivere con Ilaria ma ho troppe paure. A Todi ero un’altra persona, che ascolta le sue emozioni e non cerca anestesie dalla vita: lotto per ritrovarla, quella persona.
“Dimagrivo e mi sentivo potente”. “Tiravo la giornata con un cucchiaio di minestra”. Non è più soltanto un problema da donne: oggi i ragazzi che soffrono di gravi disturbi alimentari sono in aumento. Come Luca, Antonio e Matteo, che raccontano il loro tremendo mal di cibo
Appaiono solo nelle cronache di un giorno i giovani scarnificati dall’anoressia che si gettano da finestre di ospedali. Tragedie che svelano un dato recente e ancora da indagare: il mal di cibo non è più affare da donne. Tra ex bambini obesi che si mettono a dieta e perdono il controllo, adolescenti ossessionati dalla forma fisica, giovani che inscenano a tavola l’ansia di crescere, oggi un decimo della popolazione che soffre di disturbi alimentari è maschio.
«Dieci anni fa era l’un per cento» constata la psichiatra Laura Dalla Ragione, responsabile a Todi di un centro pubblico pilota dove il sapore della vita si riaccende in una villa antica, con terapie di gruppo e pasti rituali, lontano da corsie d’ospedale.
La dottoressa, che ha seguito finora 80 ragazzi, ha appena pubblicato uno dei rari studi sul tema (firmato con Marta Scoppetta): Giganti d’argilla (Il Pensiero scientifico Editore). Dove spiega che «nella fascia 14-17 anni, i maschi arrivano al 20 per cento, e se consideriamo solo il binge eating, l’abbuffata compulsiva cui non segue il vomito come nella bulimia, gli uomini sono addirittura un terzo e hanno fra 30 e 40 anni».
L’anoressia maschile compare nei testi medici quattro secoli fa, cade nell’oblio e riappare nel 1996, quando in un congresso americano si parla di reverse anorexia: la distorta ricerca di un corpo muscoloso, ottenuto con rischiose diete fai-da-te e tanta, troppa palestra. Chiodo fisso da uomini, speculare al desiderio di invisibilità delle donne anoressiche.
Osservando i maschi malati, lo psichiatra Eugenio Borgna parla di narcisismo come «impossibilità di amare se stessi e gli altri», nel libro Narciso a tavola (a cura di L.E. Zappa, Franco Angeli). E Laura Dalla Ragione ipotizza perché tra gli uomini il disturbo è in crescita: «Oggi la donna ricerca ideali di efficienza vicini a quelli maschili. È come se gli uomini si sentissero minacciati e confusi, cercando di affermare la propria virilità. Ed ecco l’attività fisica esasperata e le diete spesso fornite senza criterio dagli allenatori: proteine, niente carboidrati, anabolizzanti e steroidi. La prestanza fisica è un valore socialmente accettato» prosegue «è difficile capire quando sfocia in un desiderio patologico». Così i maschi anoressici e bulimici arrivano alla diagnosi più tardi, rispetto alle donne, rendendo il loro male più subdolo e grave.
Di loro non si parla, e loro non parlano per l’imbarazzo di soffrire di una malattia femminile. Come è accaduto a Luca, Antonio, Matteo.
LUCA, 15 ANNI
Ho segnato la data: primo ottobre 2006. Il Luca di un metro e 69 per 72 chili decideva di dimagrire. I compagni mi chiamavano ciccione. Soffrivo. Piangevo. E ho fatto di testa mia: pomodori sconditi, poca acqua per non gonfiarmi, semolino con olio e formaggio e poi senza niente, nemmeno sale.
Ogni giorno correvo per 12 chilometri, con la pioggia e al buio, io che avevo così paura del buio. La fame era da sbattere la testa al muro, ma il corpo si abituava: dimagrivo, ero potente. Fino agli svenimenti e alla faccia bianca e spettrale. Ma fermarmi era impossibile, come se un burattinaio mi comandasse.
In due mesi ho perso 22 chili. Non so dire se fossi scheletrico: io non mi vedevo. Poi il rischio di collasso, le flebo, il sangue che si coagulava per mancanza di liquidi, lo sviluppo bloccato… Uscito dall’ospedale dovevo correre. E sono svenuto.
Al centro di Todi sono arrivato il 23 dicembre: il primo piatto di pasta è stato eterno, sminuzzavo tutto, non volevo tornare il Luca ciccione. Poi dev’essere scattato qualcosa perché allo specchio mi sono detto: “Eppure hai un bel fisico”. E mangiavo più svelto, dal primo alla frutta.
Ora va meglio: peso 59 chili e sono cinque centimetri più alto. Torno al centro regolarmente: ho superato i problemi con il cibo, ma non certe fissazioni. I capelli, per esempio: non esco se non sono scolpiti con il gel come dico io. Ho indossato il berretto per una settimana, persino in casa, perché non mi piacevo. A chi mi dice che sono carino non smetto di chiedere “lo pensi sul serio?”. Forse se tingessi i capelli e mettessi lenti a contatto azzurre…
Non ho ideali di bellezza, vorrei solo essere come certi miei coetanei. Nel mio paese si dà importanza all’aspetto: so che conta quello che hai dentro, però sono i belli ad avere successo e ragazze. Io ne ho avuta una sola, per poco: ero curioso del primo bacio. Sai, in me vive ancora una parte malata, ma è piccolissima. Il resto è il Luca vero.
ANTONIO, 24 ANNI
Ho un’anoressia nervosa secondaria, effetto di una depressione. Cinque anni fa ho lasciato il Sud per una borsa di studio: ero il primo, in famiglia, ad andare all’università. E la solitudine in quel luogo ostile ha liberato i miei fantasmi: l’angoscia di pesare sui miei, la paura di crescere. E il mio antico problema, l’alopecia: da piccolo ho perso i capelli e i peli, non ricresceranno. Dicono che somigli a Bruce Willis, ma io fatico ad accettare la mia immagine.
Ero inappetente, tiravo la giornata con un cucchiaio di minestra, non prendevo il bus per risparmiare macinando chilometri a piedi. Ero refrattario a tutto, anche ai 30 e lode. Con i miei, fingevo serenità. Dopo otto mesi ero 49 chili: ne avevo persi più di 20 e mi facevo schifo, le gambe secche come stampelle. Morivo di un suicidio lento. Quando ti accorgi di essere anoressico è già tardi, ci sei dentro con tutto te stesso.
Sono tornato a casa, al Sud: medici, day hospital, psicoterapie, mentre i miei mi controllavano convinti che nutrissi solo un vacuo desiderio di magrezza. Ho ripreso chili e mi sono laureato con lode. Ma il cibo restava un nemico, e la difficoltà di trovare lavoro ha aggravato la mia sfiducia.
Stavo di nuovo male ed ero stanco di stare male. Sono entrato nel centro di Todi dicendomi “o guarisci o sei un niente”. E ho ritrovato almeno il gusto per le piccole cose: un giorno mi si è riempito il cuore al cospetto di un albero secolare. Qualcosa cambiava.
Oggi vivo al Nord e frequento un master. L’angoscia bussa a giorni alterni, però provo meraviglia per la bellezza delle cose. Sono 63 chili, credo. Evito bilance e specchi.
MATTEO, 30 ANNI
È la mia ossessione da quando avevo 21 anni. Ero confuso, immaturo. L’università era un automatismo, vengo da una famiglia di insegnanti. La palestra era una cosa nuova, e lì si parlava solo di cibo, peso, corpo. Discorsi che si sono insinuati in me.
Ho eliminato i grassi dai pasti, poi i carboidrati, mangiavo solo frutta e verdura e poca carne, ritrovandomi con 600 calorie e due ore di palestra ogni giorno. In pochi mesi ero 56 chili, e io supero il metro e 80. Lo specchio rifletteva un’immagine normale, i miei occhi erano malati.
L’ho capito più tardi: era una strategia di fuga. A casa mia non c’è amore, solo rabbia tra i miei genitori e con i miei nonni, e io volevo essere altrove. Avevo paura del dolore e mi sono creato un dolore solo mio, una nicchia di non-vita su cui m’illudevo di avere potere, mentre la vita vera sfuggiva al mio controllo.
Ospedali, psicoterapie, un cuore indebolito. Seguivo le cure ma a casa mi accoglieva il mio mondo artificiale fatto di anoressia e poi di bulimia: ricompravo il cibo ingurgitato e vomitato, i miei non sospettavano. Se uscivo a cena con gli amici, di notte andavo a correre. Ero un abile bugiardo senza dignità, come un drogato ipnotizzato dalla dose: era la malattia a guidare la mia vita. E se vedevo una ragazza bellissima con un panino in mano, io fissavo il panino.
Temevo di essere omosessuale finché ho incontrato Ilaria, che mi ha fatto desiderare di guarire. Sono stato quattro mesi nel centro di Todi. Lasciandomi andare ho capito tante cose. Il rapporto con la mia mamma, che dà senso alla sua vita accudendo me, e se mai guarirò sarà lei ad ammalarsi. Uscito da Todi stavo meglio, ma nove anni di ossessione non li cancelli: ho rifatto tutto, i digiuni e le abbuffate, il vomito e le corse per bruciare calorie. Cercavo compromessi ma non ce ne sono: all’ossessione basta uno spiraglio per tornare e riempirti.
Peso 67 chili, faccio l’istruttore di nuoto e da anni rimando la tesi di laurea. Vorrei staccarmi dai miei e vivere con Ilaria ma ho troppe paure. A Todi ero un’altra persona, che ascolta le sue emozioni e non cerca anestesie dalla vita: lotto per ritrovarla, quella persona.
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