ROSSELLA NON ABITA PIU' QUI


Una bottega nel campo profughi "27 febbraio", Tindouf, Algeria.


Centottanta giorni in mano ai sequestratori. Forse nel Mali del nord. Forse rivenduta chissà dove ad altre bande del deserto.
Il 23 aprile saranno passati sei mesi dal sequestro di Rossella Urru, l’operatrice umanitaria di Samugheo, provincia di Oristano, che da due anni lavorava nei campi profughi saharawi nell’ovest dell’Algeria, intorno alla città di Tindouf.
Un deserto di roccia e miseria, ma fino al 23 ottobre 2011 tra i luoghi più sicuri al mondo per gli stranieri.
Il 3 marzo irrompe una notizia falsa: la ragazza sarebbe stata liberata, riporta Al Jazeera da fonti mauritane e senegalesi. Poi è di nuovo silenzio: la Farnesina e la famiglia hanno le bocche cucite, una scelta che per i nostri diplomatici è l’unica che porterà a risultati. Il 22 marzo Rossella ha compiuto trent’anni, da prigioniera.
La passione per il popolo del deserto. Nella grande piazza assolata del “27 Febbraio”, l’unico dei campi saharawi con elettricità e connessione a internet, dentro il centro di formazione per le donne c’è una stanza con monili, stoffe colorate, bandiere del Fronte Polisario, t-shirt. Quella con il viso di Rossella Urru si vede subito entrando, sotto la finestra, accanto ai volti dei due colleghi spagnoli sequestrati insieme a lei: Ainhoa Fernandez ed Eric Gonyalons.
“Rossella è una donna di una delicatezza unica, un’autentica amica del nostro popolo” sospira Abdeslam Lahcen dell’associazione saharawi Afapredesa, con cui Rossella collaborava.
Fra i 40 cooperanti stranieri in questo deserto inospitale (lo chiamano hammada, il giardino del diavolo), era quella che resisteva da più tempo: due anni tra la polvere tenace, la luce intermittente, i bambini malnutriti. “Insegnava alle donne a valutare la qualità del cibo che arriva dagli aiuti umanitari” racconta Giulia Olmi del Cisp, l’organizzazione di Rossella, “per renderle protagoniste del loro sviluppo”.
Le donne di Rossella sono qui, fra le strade sabbiose del “27 febbraio”, a spartirsi sacchi di farina e lenticchie. 200mila saharawi si sono rifugiati in Algeria nel 1975, quando il Marocco ha occupato il loro territorio, il Sahara Occidentale, nell’attesa di un referendum che delinei confini e sovranità. E qui, fra tende e baracche, governa il Fronte Polisario, il movimento di liberazione dei saharawi.
Rossella è un’esperta di questa vicenda geopolitica: s’è laureata a Ravenna con una tesi sul tema, da sempre appassionata del popolo nomade che alle donne riconosce un’eccezionale parità.
Prima casa a destra. Nel ristorante Gdeim Izik a Rabuni, il centro logistico dei campi, i cooperanti pranzano a riso, pollo e Coca Cola. Evacuati dopo il sequestro, non tutti se la sono sentita di tornare. Per la prima volta raccontano a un giornalista quella notte di ottobre, quando i banditi di certo sapevano che erano rimasti solo in dieci al Protocolo, l’edificio con le sedi delle ong: gli altri dormivano a Dakhla, il campo più lontano.
Sette uomini con turbante e kalashnikov entrano in jeep nel secondo cortile. Legano il guardiano disarmato, sparano in aria. Dei cooperanti, qualcuno si nasconde terrorizzato sotto il letto, altri aprono la porta per capire, e vengono presi. Rossella abitava nella prima casetta a destra, all’ingresso del cortile. Ainhoa Fernandez più avanti. A Eric Gonyalons, che oppone resistenza, i rapitori sparano a una gamba, ferendo anche dei saharawi accorsi dall’ospedale vicino.
Il Protocolo era completamente aperto: oggi è recintato da alti container e protetto dai soldati. Ora per gli stranieri vige il coprifuoco al tramonto e c’è la scorta armata nei tragitti più lunghi. Eppure il via vai di volontari, studenti e associazioni, soprattutto da Spagna e Italia, non s’è fermato: chi conosce i saharawi, sa che il sequestro di Rossella è un evento unico.
Un 11 settembre. “I cooperanti sono nostri figli” dice Hadija Hamdi, ministra della Cultura e moglie del presidente saharawi Mohamed Abdel Aziz. Secondo lei, c’è dietro il tentativo di allontanare tutti gli operatori umanitari per mettere in ginocchio i profughi: il Marocco, l’unico nemico del Polisario, avrebbe un ruolo.
L’esercito saharawi ha finora preservato l’area dai traffici di droga e dalle scorribande dei ribelli dal Mali. “Per noi è un 11 settembre” sentenzia cupo Omar Mih, rappresentante del Polisario in Italia. Ma qualche sentore c’era: dal Marocco escono enormi quantità di hashish da trasportare verso est, e da quando l’Algeria transige meno, i banditi al soldo dei narcotrafficanti cercano nuovi guadagni nei sequestri di persona. Prima fra i turisti nel deserto del Tassili, nel sudest algerino; ora nei campi saharawi, gli unici con una presenza straniera.
A rivendicare il rapimento è stata una sigla mai sentita: “Movimento monoteista per la jihad in Africa Occidentale”, costola dissidente di Al Qaeda nel Maghreb.
Il responsabile del Polisario per la sicurezza, Brahim Mohamed Mahmud, esclude che cellule terroristiche si nascondano nelle loro tende. Ma fra gente profuga da 37 anni, dipendente da Paesi stranieri che inviano generosi aiuti ma intanto non premono sul Marocco affinché si tenga il referendum per i saharawi, è naturale che qualche giovane non ne possa più. Chissà se Rossella avrà la forza di tornare qui. Per capire chi, del suo popolo amico, abbia tradito.
TERRA DI NESSUNO
Ribelli tuareg, ex mercenari della guerra in Libia, islamisti affiliati ad Al Qaeda: tutti armati fino ai denti. Il Mali è da sempre nel caos, aggravato il 21 marzo dal golpe militare che ha spodestato il presidente Amadou Toumani Touré. Rossella Urru e i colleghi spagnoli sarebbero prigionieri in questa terra di nessuno, dove ora sarà più difficile trovare interlocutori affidabili.
Secondo padre Giulio Albanese, fondatore dell’agenzia Misna, sarebbe invece il momento giusto per la liberazione: se i ribelli rilasciassero gli ostaggi, sostiene l’esperto, “potrebbero ottenere una credibilità concreta e una visibilità maggiore”.

LA MAPPA DELLA PAURA

La liberazione di Paolo Bosusco, il tour operator piemontese rimasto quasi un mese nelle mani dei guerriglieri maosti in India, riaccende la speranza anche per Rossella Urru. Con lei, altri otto italiani restano prigionieri di bande armate tra Algeria, Pakistan, India e Somalia.
Qualcuno dice che sono stati degli sprovveduti, a inoltrarsi a certe latitudini, invece si tratta di esperti viaggiatori, operatori umanitari di lungo corso, marinai avvezzi al rischio.
Maria Sandra Mariani, la turista toscana rapita il 2 febbraio del 2011 nel sudest dell'Algeria, è l'ostaggio scomparso da più tempo. L'operatore umanitario Giovanni Lo Porto è stato sequestrato in Pakistan il 18 gennaio. E i sei marinai italiani della "Enrico Ievoli" sono prigionieri dei pirati somali dal 27 dicembre.
E' la prima volta che il Pakistan e lo stato indiano dell'Orissa figurano tra i luoghi a rischio, dilatando la mappa globale della paura.



da Gioia, 12 aprile 2012

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