IL CORAGGIO DI HAYAT

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foto di Simona Ghizzoni / Contrasto
Hayat e’ apparsa all’improvviso sul maxischermo del convegno sulle donne saharawi organizzato dall’Universita’ Pablo de Olavide di Siviglia. Il suo volto giovane, forse non ancora ventenne, era trasfigurato da sentimenti contrastanti: rabbia, vergogna, una lucidissima consapevolezza che ferisce.
Hayat ha raccontato di un giorno a Laayoune, la sua citta’ in Sahara Occidentale, quando tornava da scuola e quattro poliziotti l’hanno fermata accusandola di appartenere a un gruppo sovversivo affiliato al Fronte Polisario. Lei ha negato, mentendo. Gli uomini le hanno legato mani e piedi, bendandole gli occhi e caricandola a forza su un’auto che l’ha portata nel deserto fuori citta’, in un luogo isolato. E qui Hayat e’ stata violentata.
“Mi hanno fatto cose che non riesco nemmeno a pronunciare” ha raccontato alla platea del convegno a Siviglia. E chi conosce l’invincibile pudore delle donne islamiche nell’affrontare argomenti sessuali, capira‘ perfettamente quanto la testimonianza di questa ragazza contenga un coraggioso unico. Ce l’ha detto lei stessa: “Conosco tante ragazze saharawi che hanno subito violenza dai marocchini, ma non lo raccontano: la vergogna e‘ troppa. Io ho invece deciso di parlare perche‘ non sopporto piu‘ questo peso sull’anima. E perche‘ e‘ giusto che si sappia quello che stiamo subendo”.
Hayat alternava una narrazione serrata, quasi urlata, a lunghi silenzi nei quali si copriva il volto con le mani e tentava di asciugarsi le lacrime che continuavano a rigarle il volto.
Me lo aveva detto Elghalia Djimi, una delle donne del Sahara Occidentale protagoniste del documentario JUST TO LET YOU KNOW THAT I’M ALIVE, che sto realizzando insieme a Simona Ghizzoni. Elghalia, che e‘ stata vittima di tortura e oggi e‘ vicepresidente dell’Associazione saharawi delle vittime di gravi violazioni dei diritti umani (ASDVH), mi aveva detto che nessuna donna saharawi mi avrebbe mai raccontato le violenze sessuali subite. “E‘ un tema su cui fatichiamo a lavorare persino noi”, chiariva, “nessuna di queste donne riesce - per mentalita’, per profonda vergogna - a raccontare lo stupro”.
Hayat ce l’ha fatta. Dopo la violenza fisica, i poliziotti le hanno scattato delle fotografie. “Ero completamente nuda, mi hanno fotografata ogni parte del mio corpo. E questo mi ha uccisa”.

Il breve video che dispiegava il dolore di questa ragazza e’ stato proiettato al convegno di Siviglia durante l’intervento di Soltana Khaya, una giovane saharawi che ha perso un occhio in seguito alle percosse ricevute a una manifestazione a Marrakech. Il giorno prima, mentre proiettavo il trailer di JUST TO LET YOU KNOW THAT I’M ALIVE, osservavo Soltana seduta in prima fila, commossa nel guardare i volti delle sue amiche piu’ anziane: Elghalia, Soukaina, Mina, Leila.

A Siviglia, il documentario ha ricevuto il patrocinio dell’Unione nazionale delle donne saharawi, che ha sede nei campi profughi in Algeria e ha mandato in Spagna come rappresentante la segretaria generale, Fatma Mehdi. E tanti altri ci hanno assicurato il loro supporto: Rocío Medina che coordina un gruppo di studio sui saharawi all’Universita’ Pablo de Olavide; le attiviste Edi Escobar e Monica di Marco (Asociación de Amistad con el Pueblo Saharaui de Sevilla), Arantza Chacón (Red Vasca de Apoyo a las Mujeres Saharauis), Nieves Poyato (Gruppo Jaima di Cordova), la giovane videomaker e fotografa Paula Álvarez Cano che sta realizzando, anche lei, un documentario sui saharawi. S’intitola Hayati. Fuga dall’inferno 38 anni dopo e mischia immagini d’epoca prese dalla tv algerina, quando i saharawi fuggivano dal Sahara Occidentale sotto le bombe marocchine, con interviste girate oggi a chi e’ stato protagonista di quell’esodo.
Intanto, il Corriere della Sera online dedicava un generoso spazio alla nostra raccolta fondi, giunta ormai al suo tredicesimo giorno.
La trovate a questo link:

Ogni contributo, anche piccolo (si parte da 10 dollari), fara’ la differenza. Permettendoci di dare voce, con la maggior qualita’ possibile, alle donne saharawi vittime di violenze.

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