DUE EURO A PEZZO


Rubina Möhring, presidente di Reporters Without Borders Austria.
Read the English version here

“Siamo preoccupati per la berlusconizzazione della stampa italiana e soprattutto per le precarie condizioni di lavoro dei giornalisti in questo Paese. Riuscite a immaginare cosa significhi essere pagati 8 euro ad articolo?”.
Rubina Möhring è stata a lungo una delle giornaliste televisive più popolari nel suo Paese, l’Austria. E oggi che presiede la sezione austriaca di Reporters Without Borders, ha deciso di creare un premio, il Press Freedom Award, che ogni anno viene destinato a un Paese diverso. Il 2012 è toccato all’Italia, e le vincitrici siamo state io e la giovane collega Alessia Cerantola. Io con il reportage sulle donne saharawi vittime di repressione in Sahara Occidentale; Alessia con una inquietante inchiesta sulla drammatica situazione in cui si trovano a vivere e lavorare i giornalisti freelance in Italia.

Ieri, alla cerimonia di premiazione a Vienna, Rubina Möhring ha parlato di 8 euro a pezzo. Ma subito dopo Alessia Cerantola - che è nipponista, parla perfettamente giapponese e inglese, se la cava anche con il cinese, partecipa ogni anno a workshop e simposi internazionali, ha addirittura promosso un’associazione di giornalisti che va a caccia di grant in tutto il mondo per potersi finanziare inchieste e reportage - ne guadagna 2, di euro a pezzo.
Quattro euro lordi, due netti. Qualsiasi sia la lunghezza o la complicazione degli articoli che pubblica regolarmente su un quotidiano locale.
Abbiamo passato questi bellissimi due giorni insieme in una Vienna nevosa e natalizia, raccontandoci le nostre passioni e i rispettivi salti mortali per una cosa che in tanti mestieri, persino in tempo di crisi, resta scontata: riuscire a vivere del proprio lavoro. Bene o male, ma comunque a campare.
Nell’articolo premiato, la collega parte dalla storia di un giornalista pugliese, Pierpaolo Faggiano, 41 anni, che l’anno scorso s'è impiccato a un albero lasciando una lettera dove spiegava che non ce la faceva piu’ a esistere raggranellando non oltre 20 euro a pezzo. “In seguito a questo suicidio - scrive Alessia Cerantola - molti giornalisti hanno cominciato a incolpare l’iniquo ambiente giornalistico italiano di proteggere solo un piccolo numero di impiegati regolarmente stipendiati costringendo tutti gli altri a sopravvivere con entrate esigue”.
Ovviamente, il dito è puntato contro quelle aziende editoriali che, ormai di prassi, usano freelance sottopagati come collaboratori fissi. “La protesta - prosegue Alessia - ha catalizzato l’attenzione sui difetti e le lacune del sistema dei media italiani, caratterizzato da vecchie logiche e gerontocrazia, e lo accusa di penalizzare il giornalismo di qualità attraverso la diffusa pratica del nepotismo nel reclutare redattori e collaboratori”.
Il suo articolo cita poi un’indagine dell’Ordine dei Giornalisti, che mette in luce come i nostri quotidiani online, da Repubblica al Messaggero fino all’agenzia Ansa, paghino da 2 a 20 euro a pezzo. E le televisioni non si comportano meglio: qui, la media per i giornalisti che filmano, montano, compongono lo script e registrano il voice-over ai servizi, si attesta sui 12 euro.
Alessia mi ha parlato dell'ultimo rapporto sullo stato della professione giornalistica in Italia, pubblicato dall’organizzazione indipendente LSDI. Sono andata a leggerlo. Dice cose strane. Per esempio: mentre in tutto il mondo occidentale i giornalisti diminuiscono di numero (piu’ che logico, data la crisi nera dell’editoria), in Italia chissà perché continuano ad aumentare. Oggi siamo oltre 112mila, che significa il triplo rispetto ai colleghi francesi e il doppio di quelli britannici. Solo il 45 per cento di noi è però attivo ufficialmente e solo uno su cinque gode di un contratto di lavoro dipendente, “guadagnando - precisa la ricerca - cinque volte più di un freelance e 6,4 volte più di un co.co.co. Intanto i rapporti di lavoro subordinato continuano inesorabilmente a calare (meno 5,1% dal 2008) e l’età media degli attivi a crescere”.
Non mi sbrodolerò in una filippica su quanto conti, per la democrazia, avere una categoria di cronisti e giornalisti indipendenti. E di come sia impossibile essere indipendenti quando si guadagnano 2 euro a pezzo. E’ un’assurdità talmente lampante, quella in cui versiamo noi operatori freelance dell’informazione, che voglio credere che questa crisi economica avrà almeno il merito di disintegrare le logiche che puzzano di putrefazione per far emergere dai loro miasmi un sistema nuovo. Non riesco a tracciarne i tratti, nemmeno stressando la mia fervida immaginazione, forse perché io - come mi ha fatto notare Alessia, con dolcezza però - uno stipendio l’ho avuto, anche un sussidio di disoccupazione, una tredicesima e una quattordicesima, persino i rimborsi per le spese mediche e i rimborsi per le trasferte. Li ho avuti ma a un certo punto ho scelto di stare fuori dal sistema, perché sono fatta così. Recalcitrante. Mi guardo bene dal lamentarmi della mia scelta, che ancora riesce a regalarmi grandi e piccole gioie, però penso che nell’unico Paese al mondo - insieme al Portogallo - ad avere un Ordine professionale dei giornalisti, la situazione asfittica dei freelance sia un’assurdità doppia.
Alessia s’è commossa, al termine dei suoi ringraziamenti alla cerimonia di premiazione a Vienna. Guardandola e ascoltandola, io ho pensato che le lacrime sgorgassero da una voragine: il baratro tra lo stare lì, con un magnifico mazzo di fiori in mano e un attestato che premia il nostro “eccellente lavoro come giornalisti critici e investigativi”, e i suoi 2 euro a pezzo. La sua fatica a farsi riconoscere nel suo Paese semplicemente come una professionista. La mia stessa fatica. E così mi sono commossa anch’io. 

Con Christophe Deloire, direttore di Reporters Without Borders International (a sinistra), Rubina, Domenico Affinito di RWB Italia, Eva Nowotny dell'Unesco e Alessia Cerantola. 
   
Intanto, mentre ero in treno e buttavo giù queste righe sul premio più prestigioso che abbia mai ricevuto e sulle contraddizioni dolorose che mi ha fatto crescere dentro, mi si è seduto davanti un tizio.
“Così tu sei una scrittrice? Ti ho sentita parlare al telefono, prima....”.
“No, sono una giornalista”.
“Anch’io facevo il giornalista” mi ha detto lo sconosciuto. “Poi ho smesso, non ci vivevo. Ma ti pubblicano?” mi ha chiesto repentinamente.
“Per ora sì” ho risposto.
“E ti pagano?”.
“Per ora sì”.
Vorrei avere il dono di leggere le coincidenze per ricucirle e ricamarle dentro quadretti coerenti, rivelatori. Magari profetici.

Il Press Freedom Award sulla stampa italiana e internazionale:
http://derstandard.at/1353208394115/Koennen-Sie-sich-vorstellen-Artikel-fuer-50-Cent-zu-schreiben
http://www.ejc.net/media_news/press_freedom_award_2012_reporters_without_borders_distinguishes_italian_jo/
http://www.giornalisti.redattoresociale.it/2012/12/10/giornaliste-premiate.aspx
http://www.lsdi.it/2012/giornalisti-precari-e-diritti-umani-violati-a-due-giornaliste-italiane-il-premio-rsf-austria/
http://www.welt-der-frau.at/


Commenti

Post più popolari