IL PREZZO DEL SILENZIO

La campagna dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: "La violenza contro le donne è un problema di salute pubblica"
La violenza contro le donne costa al nostro Paese 16.719.540.330 di euro l’anno, mentre per gli interventi di prevenzione e contrasto vengono spesi soltanto 6.323.028 di euro.
La Fondazione Intervita ha diffuso oggi uno studio che, per la prima volta in Italia, analizza il fenomeno del femminicidio e della violenza di genere nelle sue dimensioni economiche. Perché «oltre al costo umano inaccettabile, la violenza sulle donne provoca uno spreco di risorse per l’intera collettività» spiega Anna Maria Fellegara, preside della facoltà di Economia e giurisprudenza all’università Cattolica di Piacenza, che ha condotto la corposa ricerca con un gruppo di sociologi, economisti e demografi, fra cui Linda Laura Sabbadini dell’Istat, una delle maggiori esperte italiane del tema.

S’intitola Quanto costa il silenzio? e rivela che, non solo la violenza di genere sottrae ogni anno alla società una cifra abnorme fra cure mediche, investigazioni di polizia, spese legali, costi dei servizi sociali e dei centri antiviolenza, ma che il dispendio risulta addirittura moltiplicato per sette, se consideriamo le conseguenze esistenziali di lungo termine sulle vittime e i loro figli.
«La voce che personalmente mi ha colpita di più» ammette Fellegara «è quella che riguarda i costi sanitari: quasi 470 milioni di euro spesi in un anno, ai quali si aggiungono poi gli esborsi per i farmaci e gli interventi psicologici per le vittime». Dai lividi, che rappresentano il 42,6 per cento delle lesioni riportate, al numero avvilente degli aborti provocati dai pestaggi (il 7,2 per cento); dai traumi cranici (5,6 per cento) alle fratture (11,2).
E poi gli sprechi economici per assenza dal lavoro: 1.092 giornate perse in un anno, le spese per malattia a carico del datore di lavoro, lo Stato che riceve minori entrate tributarie perché una donna umiliata produce meno e a volte subisce tagli di stipendio. Un quadro crudelmente limpido di come gli abusi di genere frenino lo sviluppo economico di un intero Paese: «È una svalutazione delle risorse umane» aggiunge l’esperta «come se la comunità si autoinfliggesse una riduzione di valore». Un impoverimento che potrebbe rivelarsi decine di volte più grave. I dati, ottenuti incrociando quelli Istat del 2006 (gli ultimi disponibili sulla violenza contro le donne) con vari studi internazionali, sono infatti sottostimati poiché una minima percentuale delle vittime esce allo scoperto: meno del nove per cento denuncia e solo il tre per cento si presenta in pronto soccorso per farsi curare.
«Investire in prevenzione» sostiene Fellegara «comporterebbe netti risparmi rispetto a quanto il sistema pubblico deve spendere una volta che la violenza è compiuta». Per chi ancora crede che questa sia una battaglia solo femminile. E che possa restare una voce marginale di bilancio.
Del resto, a ricordarci che non si può relegarla a una questione privata e soltanto “da donne”, basterebbero i numeri, che non smettono di far male: secondo la “Casa delle Donne per non subire violenza” di Bologna, che registra minuziosamente il fenomeno, i femminicidi in Italia sono passati dagli 84 nel 2005 ai 124 nel 2012 (con un picco di 129 nel 2011). Nel 60% dei casi, vittima e carnefice avevano una relazione sentimentale in corso o conclusa. Il 69% delle vittime sono italiane, così come il 73% degli autori.

Secondo l’ultima ricerca Istat del 2006 (ma ne è in corso una più aggiornata), 10 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni hanno subìto almeno una violenza fisica, psicologica o sessuale, nella maggioranza dei casi per mano di un uomo di famiglia, ma solo una percentuale dal 4 al 9% sporge denuncia. Secondo l’Osservatorio nazionale Stalking, il 15% dei femminicidi compiuti nel 2011 è stato preceduto da una denuncia per stalking. L’unico dato positivo è che i centri antiviolenza sul territorio nazionale sono passati dai 56 del 2000 ai 115 di oggi (la mappa al sito comecitrovi.women.it).

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