IL SALE DELLA DIGNITÀ
Diari palestinesi/2
I cumuli bianchi e aguzzi disegnano una scenografia lunare, che riverbera la luce e fa quasi dimenticare che ci troviamo in uno dei luoghi della terra più percorsi dalla sofferenza. E non solo per via di una situazione politica avviluppata su se stessa.
I cumuli bianchi e aguzzi disegnano una scenografia lunare, che riverbera la luce e fa quasi dimenticare che ci troviamo in uno dei luoghi della terra più percorsi dalla sofferenza. E non solo per via di una situazione politica avviluppata su se stessa.
Al confine orientale della Cisgiordania, in Palestina, anche la natura è in affanno: dal punto più basso del globo, il mar Morto balugina all’orizzonte con la sua conca salata che si estingue a un ritmo inesorabile. “È il nostro tesoro” sospira Hosam Hallak. La sua famiglia da cinquant’anni campa grazie a quelle acque: nei pressi di Kalya, suo padre fondò nel 1964 la West Bank Salt Company, una delle rare realtà imprenditoriali palestinesi che non solo resistono, ma addirittura prosperano nonostante l’occupazione israeliana.
È l’unica società palestinese a estrarre sale dal mar Morto, a fronte delle 220 israeliane e di molte altre giordane. “Non ci pensiamo nemmeno a competere con loro” precisa Hallak, “noi puntiamo a vendere all’estero”. E ci riescono: il loro “sale gourmet” aromatizzato alle spezie si trova sugli scaffali dei supermercati del Nord America e anche del Nord Italia. Mille tonnellate di sale da tavola prodotte ogni mese, venti dipendenti, piccole filiali commerciali in tutta la Cisgiordania e ora anche una fabbrica di prodotti cosmetici appena aperta a Gerico, con un personale tutto al femminile. Perché è noto che i sali del mar Morto sono un toccasana per la pelle e contro la cellulite.
Infine, il capitolo di cui Hallak va più fiero: “Utilizziamo tecnologie rispettose dell’ecosistema” assicura, “rigettando in mare tutta l’acqua che resta dopo l’estrazione del sale e bandendo qualsiasi prodotto chimico. Il mar Morto è il nostro capitale: saremmo stupidi a rischiare di giocarcelo per finire a comprare sale da Israele”.
Il grande, anomalo lago mediorientale è 8 volte più salato rispetto agli oceani. Negli ultimi quarant’anni il suo volume si è asciugato del 30 per cento a causa della riduzione delle acque del suo affluente principale, il fiume Giordano, il cui corso è stato deviato per l’agricoltura. Ma la responsabilità è anche di un’estrazione massiccia di sale che ha chiuso un occhio sull’ambiente. “Per noi invece è ben più di un’attività imprenditoriale: è dignità e rispetto” insiste Hallak, che ha studiato negli Stati Uniti ed è intenzionato a far vivere la sua impresa per altre generazioni.
Impossibile non chiedergli come possa incrementare gli affari pur trovandosi in piena Area C, la parte della Cisgiordania sotto il controllo israeliano, dove ai palestinesi è vietato pressoché tutto. “Ovvio che ho avuto problemi” sorride lui. “Ho chiesto un permesso per rinnovare i locali e mi è stato negato, per esempio. Ma è proprio questo il principale problema di noi palestinesi: avere sempre Israele nella testa, come un blocco mentale che ci paralizza. Io voglio andare oltre, muovermi, fare affari”.
Una delle sue partnership più interessanti è quella con il World Food Programme (Wfp), che acquista il 10 per cento della produzione della West Bank Salt Company per distribuire sale ai palestinesi più bisognosi. “L’insicurezza alimentare riguarda il 33 per cento della popolazione. Significa che un milione e 600 mila persone non hanno cibo sufficiente” spiega Rossella Fanelli del Wfp.
Insieme a rappresentanti dell’Unione Europea, ci ha accompagnati alla salina di Hallak e poi in un negozietto di alimentari alla periferia di Gerico. Fanelli spiega che il Wfp, qui, acquista cibo esclusivamente da imprese palestinesi per incoraggiare l’economia locale, e poi consegna ai più indigenti delle tessere-voucher da 10,3 dollari al mese: una cifra che permette loro di acquistare, in 250 negozi della Cisgiordania e di Gaza, una quantità di cibo che soddisfa il 60 per cento del fabbisogno calorico.
L’emergenza alimentare è in costante aumento in Palestina: il World Food Programme prevede di spendere 145 milioni di dollari, nei prossimi due anni, per assistere 570mila persone (310mila in Cisgiordania e 260mila a Gaza).
Diari palestinesi è un progetto in collaborazione con l'Unione Europea, pubblicato da Io donna (Corriere della Sera).
Le sei puntate:
1. Nella valle del Giordano
2. Il sale della dignità
3. I bambini palestinesi ripuliscono Gerusalemme Est
4. Betlemme, le donne di Aida Camp
5. La gita a Nablus e il concetto di resilienza
6. Gerusalemme ed Hebron, i tour dell'occupazione (coming soon)
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