IL LATO FEMMINILE DEL CACAO

Foto di Francesco Zizola
Durante le notti insonni nel silenzio umido della foresta a perdita d’occhio, Solange coltivava un pensiero fisso tentando di affrancarlo dai contorni nebbiosi del sogno: capovolgere il destino delle donne, le mogli dei coltivatori di cacao. Ripassava, uno per uno, i loro volti refrattari al sorriso, che l’affanno e l’invisibilità invecchiavano prima del tempo. Le guardava all’alba spazzare i cortili delle case in terra cruda, prendere il cammino del pozzo, cucinare il pranzo e portarlo ai mariti nella piantagione sotto il sole allo zenit, fermandosi anche loro a raccogliere i frutti di cacao, le cabosse giallo-viola, fino alle avvisaglie del tramonto. Le sorprendeva ancora operose la domenica, le teste chine decorate di treccine e ciocche rosso fuoco, dedite a un’arte tutta femminile: bruciare i gusci di scarto del cacao, mischiare la cenere all’olio di palma e ricavarne saponette brune e rettangolari. “Quel sapone rappresentava la loro dignità” dice Solange “la pulizia, la femminilità. Il no delle donne, simbolico ma chiarissimo, alla miseria e al degrado. Eccola, l’idea giusta: era sempre stata lì, sotto ai miei occhi. Dovevo solo realizzarla”.
Solange N’Guessan avrebbe potuto comodamente vivere altrove, lontano da questi villaggi nel sudovest della Costa d’Avorio dove la città più vicina, San Pedro con il grande porto sul Golfo di Guinea, nella stagione delle piogge si trasforma in un miraggio. Invece, dopo aver studiato management agricolo in varie parti del mondo grazie alla Fondazione Rockefeller che presagiva in lei una futura leader, questa quarantenne creativa e gioviale è tornata nella sua terra ostinata che - confida - “mi ha indurito il carattere, a furia di costringermi a dimostrare che, come donna, non valgo meno di un uomo”. Oggi Solange dirige l’Unione Cooperative Agricole di San Pedro, 18 gruppi di piccoli coltivatori del prezioso oro bruno per cui la Costa d’Avorio primeggia, con il 40 per cento della produzione mondiale. Un’economia che ingrossa il Pil statale di quasi l’8 per cento annuo ma non migliora la quotidianità di chi lavora nelle piantagioni: il Paese resta 171esimo, su 187, nell’indice di sviluppo umano dell’Onu, con la povertà al 59 per cento, l’aspettativa di vita inferiore a 60 anni, l’analfabetismo al 47 per cento per gli uomini e al 68 per le donne. E gli strascichi di un decennio di guerra civile, chiusosi nel 2011 con il riconoscimento della vittoria dell’attuale presidente Alassane Ouattara, super favorito anche alle prossime elezioni autunnali.




 



A nominarle la politica, Solange non trattiene una risata: “I coltivatori di cacao sono dimenticati dalla politica, abbandonati nelle foreste. E le loro donne rappresentano l’ultimo anello della catena sociale: lavorano con i mariti senza retribuzione, poiché per un uomo conta più la famiglia d’origine che non la moglie e i figli”. Così lei, nel 2011, convoca le artigiane del sapone e le persuade a investire il loro talento in un’impresa collettiva che sfoci in un autentico commercio. “Un modo affinché avessero finalmente un reddito, ma anche un progetto ecologico di riuso degli scarti della pianta più preziosa per loro”. Il business funziona. I mariti guardano le mogli neo-imprenditrici con occhi nuovi, per la prima volta rispettosi e ammirati, iniziando a interpellano nelle faccende della comunità. Le vedove non finiscono più nell’indigenza assoluta. Ma Solange non s’accontenta, insegue il salto di qualità: la meccanizzazione del processo, per arrivare a tutte le 5mila donne nelle sue cooperative e allargare il mercato, potenzialmente, all’intera Costa d’Avorio.
“Partecipavo a tanti meeting internazionali di produttori di cacao” racconta.
Quando raccontavo del progetto agli industriali stranieri, tutti esclamavano “Bellissimo!” e scomparivano. Il cioccolato piace a tutti, ma pochi approfondiscono la sofferenza che sta dietro a una tavoletta”. Finché due anni fa, in Svizzera, capita seduta accanto a un imprenditore italiano, al quale riesce a contagiare il suo entusiasmo tenace, e lui decide d’aiutarla. “Stiamo per consegnare i primi macchinari” racconta Luigi Zaini, che con la sorella Antonella guida la storica azienda milanese del cioccolato, fondata nel 1913 e oggi l’unica fabbrica alimentare ancora attiva in città. Sono appena tornati da una visita alle donne di San Pedro, alle quali forniranno una pressa per produrre olio di palma e un mixer che risparmierà il peso di rimestare a mano gli ingredienti. “Così più donne saranno coinvolte” spiega Antonella Zaini “e si passerà da 4mila saponette annue a oltre 300mila, con un guadagno di mille euro l’anno per ogni lavoratrice”. Una cifra interessante per i villaggi rurali, considerando che il reddito medio ivoriano non supera i 2.500 euro l’anno. Il sapone si chiamerà Olgazette, un omaggio a Olga Zaini che fu a capo dell’azienda a cavallo della Seconda guerra mondiale, ricostruendola a tempo di record dopo i bombardamenti. Un modello d’imprenditoria femminile che, per Solange, può ispirare anche le sue donne.










“Vorrei che questo progetto fosse un modello di sviluppo da diffondere in tutto il mio Paese” riflette. “Non è carità: è un’alleanza tra la gente del cacao e un produttore di cioccolato sensibile alle loro condizioni di vita. Ogni industria straniera che fa affari qui dovrebbe sentire questo dovere”. E quando, tra 5 anni, il suo Olgazette conquisterà il 20 per cento del mercato ivoriano del sapone - Solange ne è convinta -, il successo sarà dedicato a sua madre: “La mia era una famiglia contadina, lei ha subìto tante ingiustizie e umiliazioni in quanto donna. Lavorava il doppio per farmi studiare, diceva che io sarei stata la sua rivincita, e che da grande avrei dovuto difendere le donne più vulnerabili pensando a lei”.
I capi villaggio stanno già chiedendo di destinare parte dei guadagni futuri a nuovi pozzi d’acqua: per Solange N’Guessan, la gratitudine dell’intera comunità alle sue donne metterà una pietra tombale sull’era in cui il femminile, qua, valeva meno di niente. 

da Io donna, 11 luglio 2015

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