MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI: UN PROBLEMA ANCHE EUROPEO?

foto Simona Ghizzoni

Il progetto UNCUT prosegue con un'inchiesta europea, pubblicata dal Corriere.it 
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Dal 31 ottobre, nel Regno Unito, se un insegnante, un medico, un infermiere o un assistente sociale s’imbatte in una minorenne che abbia subìto una mutilazione genitale, deve denunciare il caso alla polizia, pena la sanzione disciplinare o il licenziamento. È la più recente legge europea contro il fenomeno della mutilazione genitale femminile (Mgf), che fino a poco tempo fa pensavamo circoscritto a terre lontane.
Nel mondo, secondo l’Unicef, sono oltre 125 milioni le donne vittime del taglio rituale che tende a “purificarle” preservandole dal sesso pre-matrimoniale. Dall’amputazione del clitoride al raschiamento delle piccole labbra, fino alla forma più estrema, l’infibulazione, orrenda cucitura che suggella una verginità perenne.

È una tradizione trasversale a ogni religione, diffusa in 27 Paesi africani, oltre a Yemen e Iraq, che perpetua la sottomissione femminile, lesiona l’apparato riproduttivo e fa impennare i tassi di mortalità materno-infantile. Dal 1993 le convenzioni internazionali la classificano tra i più brutali abusi di genere: ecco perché oggi, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la mappa interattiva che potete consultare a questo link indaga su come anche in Europa, in alcune comunità immigrate, si nasconda questa ferita così complessa da sanare e da capire. A partire dai numeri.

Finora, l’unico dato certo in Europa è l’aumento delle donne che chiedono asilo da Paesi in cui si praticano le Mgf: se nel 2008 erano 18.110, nel 2013 hanno superato le 25mila. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), ciò si deve a più arrivi femminili da Eritrea, Guinea, Egitto e Mali, dove le mutilazioni sessuali colpiscono oltre l’89% delle donne. Nella mappa vedrete quante hanno ottenuto l’asilo dal 2008 al 2011, dalle 2.225 nel Regno Unito alle 75 in Italia. I motivi della loro fuga sono vari, ma oltre duemila di loro, nel 2011, scappavano proprio dalla minaccia del taglio.
Rifugiati a parte, è difficile dire con precisione quante vittime di mutilazioni genitali vivano nel nostro continente: le ricerche disponibili nei Paesi Ue, oltre che in Norvegia e Svizzera, danno solo stime, quelle che trovate nella mappa. Da tempo il ParlamentoEuropeo indica un totale di 500mila vittime e 180mila ragazze a rischio, “ma non si sa da dove vengano questi numeri” fa notare Jurgita Pečiūrienė dell’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) in Lituania, autore degli unici due corposi studi comunitari sul tema. “I metodi statistici variano però in ogni Stato” precisa l’esperta. “C’è chi usa i dati sull’immigrazione e chi i registri sanitari, così i risultati non sono comparabili e restano indicativi”. Su richiesta della Commissione Ue, l’Eige sta perfezionando un metodo di rilevazione che tra un anno aiuterà tutti i Paesi membri a studiare meglio la dimensione del fenomeno.

Intanto, seppure vaga la reale diffusione delle Mgf, continuano gli investimenti comunitari per le campagne di sensibilizzazione e i progetti per le vittime che vivono tra i nostri confini. Come gli oltre 800mila euro appena stanziati per un sito web diformazione per operatori sanitari, sociali e legali in 9 Paesi, cui lavora l’Università della tecnologia di Cipro. “In un momento di crisi economica, bisognerebbe sapere prima dove sia più urgente indirizzare le risorse” riflette Els Leye dell’Università belga di Ghent, tra le maggiori esperte europee di Mgf. “Ma ho l’impressione che sia un tema utile ai politici perché oggi, puntando il dito contro le minoranze etniche, si fa presa sulla gente”.
Alcuni Stati, quelli con una consolidata immigrazione dalla fascia centrale d’Africa, hanno già Piani d’azione per contrastare le Mgf. L’allarme maggiore è nel Regno Unito, dove vive la comunità somala più numerosa d’Europa (circa 103mila persone). Considerando che in Somalia la mutilazione genitale colpisce il 98% delle donne, e sondando anche altre nazionalità presenti, la Camera dei Comuni stima 170mila vittime di Mgf e 65mila ragazze a rischio.

Ma la mutilazione resta sfuggente, tabù, clandestina per definizione: le bimbe vengono “sistemate” da tagliatrici improvvisate, o durante le ferie nei Paesi d’origine, “e le comunità, per lealtà interna, non denunciano i casi” aggiunge Els Leye.
La Svezia visse un grande scandalo nel giugno 2014, quando in una scuola elementare di Norrköping emerse che 60 bambine d’origine africana erano state tagliate: una di loro fu ricoverata d’urgenza per i terribili dolori mestruali. Eppure la Svezia è stata la prima in Europa a porsi in allerta, varando una legge contro le Mgf già nel 1982: oggi conta 42mila vittime e migliaia di ragazze a rischio. Anche Francia, Olanda, Italia, Spagna e Portogallo investono risorse, e persino Cipro ipotizza 1.500 vittime. Pochi Stati, però, basano le loro azioni su una reale conoscenza del fenomeno: il Belgio è l’unico ad attuare un monitoraggio costante; la Francia s’affida ai registri di polizia e delle procure, alle Ong e a un Dipartimento per la raccolta dati sulle Mgf attivo dal 2008; l’Irlanda e il Portogallo (che pure conta solo 43 vittime) hanno database negli ospedali. “Ma occorre sondare più a fondo l’attitudine dei migranti” osserva Els Leye, impegnata in un progetto tra Belgio, Francia e Italia. “Esistono differenze abissali tra i gruppi etnici di ogni Paese africano. Inoltre la migrazione influisce, e in due sensi opposti: alcuni abbandonano la pratica poiché in Europa viene meno la pressione della loro società; per altri, la mutilazione genitale diventa invece segno d’identità culturale, che preserva le figlie da costumi troppo occidentali e promiscui”.

E la repressione, a quanto serve? Oltre a Svizzera e Norvegia, 13 Stati Ue hanno varato leggi ad hoc (l’ultima è Malta, nel 2014) che spesso puniscono la Mgf anche se commessa all’estero, mentre gli altri (come la Francia) la perseguono tra le lesioni. Ma i casi arrivati in tribunale restano esigui, con una sessantina di condanne di cui 50 nella sola Francia: l’unica che, dal 1979, applica un’autentica tolleranza zero. Qui, il caso più clamoroso fu l’“affaire Gréou: la maliana Mama Hawa Gréou, la exciseuse più richiesta di Parigi, condannata a 8 anni nel 1999 per aver tagliato ben 48 bambine.
Altrove, oltre al silenzio che avvolge la pratica escissoria, sono pochi gli assistenti sociali e i medici - denuncia la Commissione Europea - con le giuste competenze per individuare le vittime e supportarle. Nel Regno Unito, dove la legge esiste dal 1985, l’unico processo risale allo scorso febbraio e s’è concluso con l’assoluzione: un medico era accusato di aver ricucito, dopo il parto, una donna somala già vittima di infibulazione. La Spagna registra 10 processi e due condanne per Mgf: in entrambi i casi, le piccole erano state mutilate in territorio spagnolo. In Italia, dove si contano 3 condanne, la prima sentenza ai sensi della legge del 2006 contro le Mgf è stata pronunciata a Verona nel 2010: dopo un processo a colpi di perizie mediche, con i giudici in difficoltà di fronte a un reato “culturalmente orientato”, una tagliatrice nigeriana fu condannata solo a un anno e 8 mesi, con pena sospesa.
Il prossimo 6 febbraio, Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, un’ulteriore ricerca finanziata dalla Commissione Ue ci dirà finalmente se sono le nostre leggi a non funzionare contro il taglio rituale, o se bisognerà pensare ad altre strategie d’attacco in un campo su cui s’intrecciano sfide importanti, dalla parità di genere all’integrazione.


Questa inchiesta fa parte del progetto multimediale UNCUT sulle mutilazioni genitali femminili, realizzato grazie all’Innovation in Development ReportingGrant Program dello European Journalism Centre e della Bill & Melinda Gates Foundation, in collaborazione con ActionAid e Zona.

Per informazioni e aggiornamenti su UNCUT: zona.org
Su Twitter: #uncutproject


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