Gaza, due anni di solitudine

A due anni dall’ultima guerra nella Striscia, la ricostruzione non è ancora stata avviata. Un gruppo di Ong lancia un appello per la fine del blocco. E per dare un futuro ai bambini di questa terra.




Cinquantuno giorni di bombardamenti, undicimila case in macerie, oltre duecento scuole distrutte e migliaia di vittime. Esattamente due anni fa, tra luglio e agosto del 2014, la Striscia di Gaza viveva il conflitto più drammatico della sua storia. E i lunghi mesi trascorsi dalla tregua firmata al Cairo il 26 agosto del 2014 sono serviti a poco, ai fini della ricostruzione.
Foto Gianni Toma/Cospe
È l’allarme lanciato da Aida, un gruppo di associazioni internazionali impegnate nei Territori Palestinesi, che ricorda come a due anni da una guerra che costò la vita a 1.492 civili palestinesi, tra cui 551 bambini, gran parte della Striscia rimanga in rovina. Interi quartieri restano tagliati fuori dai rifornimenti d’acqua, gli ospedali e le cliniche distrutte non sono ancora state ricostruite, e si contano circa 75mila persone tuttora senza tetto, poiché meno del 10 per cento delle 11mila case rase al suolo sono state ricostruite.
I minori sono la fascia di popolazione che soffre maggiormente dei traumi di questa violenza” sostiene la Ong italiana Cospe, che a Gaza porta avanti un progetto di sostegno socio-psicologico per bambini e donne disabili nelle aree di Gaza City, Khan Younis, Rafah e Deir Al Balah. “Israele deve rispondere della grave situazione di emergenza in corso a Gaza da ormai diversi anni, dal momento che controlla quasi completamente l’intero confine, via terra e via mare, con la Striscia” aggiunge Giorgio Menchini, presidente di Cospe. “È compito della comunità internazionale esigere il rispetto dei diritti umani”.

Il gruppo di Ong lancia la campagna #OpenGaza, con un appello a firmare una petizione per la fine del blocco che ha raccolto già 675mila adesioni. Un video, tradotto in diverse lingue, racconta attraverso dati e numeri la drammatica situazione attuale e invita a “dare un futuro” a Gaza.
L’operazione “Margine di protezione” è stata una campagna militare israeliana iniziata l’8 luglio del 2014 contro i guerriglieri palestinesi di Hamas, il partito islamico integralista che dal 2007 controlla la Striscia. L’obiettivo era fermare il lancio di missili da Gaza verso Israele. Oltre alle vittime palestinesi, nei 51 giorni di conflitto persero la vita 66 soldati israeliani, 5 civili israeliani (tra cui un bambino) e un cittadino thailandese, mentre 469 soldati e 256 civili israeliani rimasero feriti. Ma oggi l’emergenza è la ricostruzione: “Due anni dopo l’inizio della guerra, il blocco sta gravemente ostacolando la ripresa di Gaza” ha dichiarato Chris Eijkemans, direttore di Oxfam in Palestina. “A meno di progressi immediati, i palestinesi che vivono a Gaza non saranno in grado di portare avanti la loro vita e vivere in libertà, dignità e sicurezza. Con l’avvio del cessate il fuoco, i leader mondiali hanno promesso di lavorare per uno sviluppo sostenibile e di lungo periodo per i palestinesi che vivono a Gaza. Tuttavia, ci sono poche evidenze realmente concrete di tali promesse”.
Le organizzazioni internazionali che operano nei Territori Palestinesi lanciano dunque l’allarme sulla mancanza di progressi nella ricostruzione di Gaza, a seguito delle pesanti restrizioni imposte dallo Stato di Israele all’ingresso di materiali fondamentali. Le organizzazioni invitano i leader mondiali a tenere fede ai loro impegni e a esercitare pressioni politiche per la fine immediata di un blocco quasi decennale che ha paralizzato l’economia di Gaza. Senza la possibilità di esportazioni, l’occupazione nel settore privato è precipitata e il tasso di disoccupazione supera il 40 per cento, con una disoccupazione giovanile tra le più alte al mondo.
“La metà della popolazione di Gaza è composta da bambini e minori, molti dei quali ormai hanno vissuto tutta la loro vita sotto assedio”, ha dichiarato Fikr Shalltoot, Direttore dei programmi a Gaza dell’organizzazione Medical Aid for Palestinians. “A centinaia di bambini che necessitano di un trattamento medico salva-vita viene impedito di lasciare Gaza. Due anni dopo, ancora non sono state affrontate le cause della loro sofferenza”.
Chris Eijkemans di Oxfam ribadisce che “la fine del blocco è l’unica soluzione per dare alle persone l’accesso ai servizi di base di cui hanno disperatamente bisogno, per consentire che la ricostruzione proceda veramente, e per permettere il riavvio dell’economia nella Striscia di Gaza. Il blocco è illegale secondo il diritto internazionale e costituisce una punizione collettiva di un’intera popolazione. Solo la sua fine immediata porterà sicurezza a lungo termine per i palestinesi e gli israeliani”.
Per firmare la petizione: avaaz.org 

da Io donna, 15 luglio 2016

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