DUE DONNE IN GUERRA CONTRO BIG TOBACCO
Foto di Rocco Rorandelli. |
Una dottoressa inglese e una tredicenne di Giava hanno una sola - ma potentissima - cosa in comune: fanno tremare le multinazionali. La prima è un’esperta di salute pubblica; la seconda è una schiava del lavoro minorile che ora dà il volto alla campagna di denuncia “Il raccolto è nel mio sangue”. Insieme, testimoniano che chi fuma non nuoce soltanto a se stesso, ma ferisce l'intero pianeta
Cos’avranno
mai in comune una tredicenne di Giava schiava del lavoro minorile, con lo
stomaco rovinato dai veleni che inala, e una dottoressa inglese di 73 anni che
vive a Hong Kong ed è appassionata di tai-chi? Ayu e Judith non si conoscono,
probabilmente non s’incontreranno mai, eppure combattono lo stesso nemico che
considera entrambe pericolosissime e, se potesse, le metterebbe a tacere per
sempre: l’industria del tabacco. Sei colossi più altri 40 marchi sparsi per il
mondo, nutriti da un miliardo di consumatori (di cui l’80 per cento in Paesi a
basso e medio reddito) e incuranti della crisi economica globale dall’alto dei
loro ricavi da 315 miliardi di dollari l’anno, in costante crescita.
Che
fastidio possono dare, a un simile impero, le voci di Ayu e Judith? Moltissimo.
Perché testimoniano che accendersi una sigaretta non è solo una scelta
individuale: che ci piaccia o no, fumare è un atto di portata globale, che
ferisce l’intero pianeta.
La
prima, Ayu, è tra i volti del nuovo report di Human Rights Watch Ilraccolto è nel mio sangue, che denuncia lo sfruttamento dei bambini
nelle piantagioni di tabacco in Indonesia. Metà di loro accusano nausea, mal di
testa, vertigini: i sintomi della malattia del tabacco verde, un avvelenamento
da nicotina assorbita attraverso la pelle, che può causare ritardi nello
sviluppo. Lo studio ha messo in imbarazzo le 13 compagnie coinvolte, che hanno
ribattuto in modo vago lasciando intendere di ignorare questa strage di minori.
La
seconda sabotatrice di Big Tobacco, Judith Mackay, è un’esperta di salute
pubblica che dagli anni ’80 guida i governi asiatici nelle strategie anti-fumo.
Mentre Time l’ha annoverata fra le 100
persone più influenti del pianeta, “le multinazionali mi hanno paragonata a
Hitler” ci racconta lei ridendo. “Sono stata minacciata, indagata dall’Fbi,
messa sotto scorta. Ne vado fiera: lo scrivo tra le onorificenze nel mio
curriculum. L’industria del tabacco pensava di avere campo libero nei Paesi
asiatici dove si fuma moltissimo, a fronte del calo in Europa e negli Usa.
Invece anche in Asia arrivano leggi e tassazioni”.
Da 5
anni Judith Mackay cura una pubblicazione online della World Lung Foundation:
s’intitola Tobacco Atlas ed
è una bibbia per governi e organizzazioni impegnate in controlli più rigidi e
campagne di consapevolezza. Dalle sue pagine scopriamo che il fumo non nuoce
solo ai polmoni: il tabacco è una monocoltura che richiede parecchi pesticidi,
danneggiando i 4,3 milioni di ettari dedicati alla sua coltivazione in 124
Stati. Il tabacco sottrae terra a mais e sorgo, condannando i Paesi più poveri
a una spirale di miseria. I mozziconi accesi sono tra le maggiori cause
d’incendi. E il tabacco ingrassa le mafie: il contrabbando di sigarette è
aumentato del 40 per cento negli ultimi anni.
Ora
Judith sta scrivendo la prefazione del libro Dietro lacortina di fumo del fotografo Rocco Rorandelli: sei anni di reportage in 9 Paesi per mostrare il
lato oscuro di un business fiorentissimo, con 161 lobbisti al Parlamento
Europeo e tentacoli in ogni governo. Seguendo le tracce del Tobacco
Atlas, Rorandelli racconta la Cina al top di consumo e produzione: qui
i tabagisti sono 350 milioni, e solo il 27 per cento è conscio dei rischi. Tra
i 6 milioni di decessi annui causati dal fumo in tutto il mondo, un milione
avviene in Cina.
C’è poi l’India delle beedi, le
sigarette fatte a mano che restituiscono solo un quarto dei guadagni ai piccoli
coltivatori. E il lavoro nero nelle piantagioni nel sudovest della Bulgaria e
persino in North Carolina. La pubblicità sfrenata in Indonesia, dove spot Tv ed
enormi cartelli invitano a fumare, e infatti oltre un terzo dei bambini, qui,
inizia prima dei 10 anni. E l’Italia (primo produttore di tabacco in Europa) del
contrabbando e degli abnormi costi sanitari. Da noi non accenna infatti a
calare il numero di fumatori: 11,5 milioni nel 2015, circa il 22 per cento
della popolazione, contro i 10,9 milioni del 2014, secondo l’Istituto Superiore
di Sanità.
“Nessuno
Stato al mondo sta facendo tutto il necessario per dissuadere le persone dal
fumare” osserva Judith Mackay. “La misura più efficace, soprattutto per i
giovani, è un’elevata tassazione sulle sigarette. Ma non appena passa una legge
o una tassa, l’industria del tabacco trova il modo di aggirarla e continuare a
fare profitti. Oggi, però, la lotta al fumo è diventata mainstream,
c’è consapevolezza: quando io iniziai in un piccolo ufficio, un quarto di
secolo fa, sembrava una missione senza futuro”. Intanto un gruppo di esperti,
lo scorso anno a un summit dell’Organizzazione mondiale della Sanità, ha
sancito che entro il 2040 sarà possibile ridurre i fumatori dal 20 al 5 per
cento della popolazione planetaria. A patto, però, che i governi osino di più
contro Big Tobacco. Magari ispirandosi ad Ayu e Judith.
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